Chi è Camillo Golgi

“Tutti i cultori delle discipline mediche e biologiche si inchinino davanti alla memoria del Maestro che ha onorato nel mondo la scienza del nostro Paese”.

Così scrivono i giornali italiani nel gennaio 1926 e aggiungono: “L’indirizzo da lui imposto alla ricerca è diventato legge, la legge di coloro che combattono per la conquista di nuove conoscenze, la legge delle battaglie leali e feconde contro l’ignoto”. In quell’anno Camillo Golgi lascia – all’età di 82 anni – un patrimonio tanto scientifico quanto umano conseguito con tenacia e coerenza fin da quando intraprese gli studi universitari presso la Facoltà Medica di Pavia. In quel periodo, anatomia microscopica e istologia sono oggetto di serrate indagini alle quali il Golgi partecipa con grande entusiasmo, potendo anche contare sulla guida di insigni maestri come Dehl, Panizza, Mantegazza, Porta, Tommasi. Si laurea nel 1865 ed inizia la carriera medica presso l’Ospedale S. Matteo.

E’ alla ricerca della propria vocazione “per chiarire me stesso a me stesso”, come dirà più tardi. Frequenta vari Istituti, intensifica l’indagine microscopica, offre il suo contributo nel corso di un’epidemia colerica, ma presto è fortemente attratto dai problemi della psiche e delle sue alterazioni. Ed è proprio nella Clinica Psichiatrica pavese – diretta da Cesare Lombroso – che Camillo Golgi pubblica i suoi primi due lavori: un caso di pellagra non maniaca nel 1868 e, successivamente, una monografia più estesa sull’eziologia delle alienazioni mentali. Con queste sue ricerche si propone di reagire alla resistenza con la quale veniva combattuta la nuova scuola del Lombroso: “malgrado l’evidenza dei fatti a cui si appoggia un nuovo indirizzo nella psichiatria, come tutte le cose nuove, esso è combattuto con ostinazione e purtroppo – sostiene – anche con successo, dai partigiani del passato e massime dai metafisici.

Per vincere questi io credetti opportuno ricorrere all’arma perfezionata della nuova scuola, cioè al metodo sperimentale, perciò mi studia soprattutto di accumulare i fatti i quali, allorché siano raccolti coscienziosamente e senza preconcette opinioni, sono sempre fecondi di qualche vantaggio…”.

Camillo Golgi

Precisione, accuratezza, obiettività nelle conclusioni sono i tratti che caratterizzano il suo lavoro sulle alienazioni. E la sua indole di scienziato integerrimo lo porta presto a non condividere i metodi di indagine del Lombroso, secondo lui troppo incline a deduzioni avventate. Lascia quindi il suo maestro stimolato verso nuove discipline da Giulio Bizzozzero che diventerà il maggiore patologo italiano dell’ultima metà del secolo scorso. Golgi affronta così una serie di ricerche sugli “psammomi” e sulle alterazioni linfatiche del cervello. Stupisce, nel primo lavoro, la sicurezza con la quale si oppone all’idea espressa da un’autorità in materia quale era quella del Robin sulla natura epiteliale di questi tumori e ne dimostra l’origine endoteliale.

Non da meno è la descrizione a cui giunge sugli spazi perivascolari cerebrali tutt’ora valida nonostante risalga al 1870. e altrettanto si può dire delle sue conclusioni sulla nevroglia divenute ormai classiche.

Indagine istologica

Camillo Golgi aveva scelto la propria via: l’indagine istologica. Ed anche quando, per motivi economici, è costretto ad accettare il posto di “medico residente” nell’Ospizio dei Cronici ad Abbiategrasso, appartato da ogni centro scientifico, dimostra la sua tenacia allestendo un laboratorio di fortuna: una tavola, un microscopio, bisturi, boccette di coloranti, una candela sono i poveri mezzi con i quali inizia le indagini che lo porteranno ad una tappa fondamentale nella storia dell’istologia e della patologia: la “reazione nera” con cui, impregnando con cromato d’argento le cellule nervose e tutte le loro espansioni, egli riesce a seguire il tessuto cellulare nelle sue più esili ramificazioni. E’ il primo importante passo verso quel nuovo corpo scientifico che diverrà “dottrina del Golgi”, verso la scoperta di quella “rete nervosa diffusa” che da lui per sempre prenderà il nome.

Tornato definitivamente a Pavia nel 1880 ove diventa professore di Patologia Generale e di Istologia, Camillo Golgi è ormai scienziato affermato. In quello stesso anno annuncia la scoperta dell’organo nervoso situato tra muscolo e tendine, attualmente noto come “organo del Golgi”. Le sue pubblicazioni vengono raccolte in un’opera monumentale: “Studi sulla fina anatomia degli organi centrali del sistema nervoso” che conosce traduzioni in tutto il mondo. E’ lui stesso a dipingere a mano le finissime e mirabili illustrazioni che impreziosiscono l’Opera.

Nel volgere di pochi anni, i più gloriosi sodalizi gli conferiscono titoli e si onorano di poterlo annoverare tra i propri soci. Ma l’uomo non cambia: nessuna esaltazione, nessuna sosta sul lavoro che porta il Golgi alla scoperta “dell’apparato reticolare interno” osservato nel citoplasma nel 1898 e ancora oggi noto in tutto il mondo con il nome di “apparato del Golgi”. Trova anche il tempo di mettere a punto una tecnica originale che consente di evidenziare la disposizione dei tubuli renali in relazione ai glomeruli. Non trascura nemmeno gli studi sulla malaria, facendo luce sul ciclo che la caratterizza e precisando l’azione del chinino. Neppure la nomina a Senatore del Regno avvenuta nel 1900 lo distoglie dalla ricerca. E nel 1906 gli viene assegnato il premio Nobel per la medicina. Gli ultimi anni li dedica soprattutto alla vita universitaria, battendosi con la consueta determinazione per il rinnovamento degli edifici della Facoltà di Medicina. Durante la Guerra poi, benché già avanti negli anni, trova la forza per assistere i soldati feriti ed ammalati.

Direttore dell’Ospedale Borromeo, Camillo Golgi trasforma quelle sale in un centro di grande importanza per l’osservazione e la cura delle lesioni del sistema nervoso. E quei pochi giorni che gli rimangono li trascorre, come sempre, indagando nel vasto mondo che appare al microscopio, convinto di quanto amava dire ai suoi discepoli: “Si è appena all’inizio della conoscenza dei misteri della vita. E bisogna lasciarla.”